NITTI

FRANCESCO SAVERIO NITTI, IL MERIDIONALISTA ANTI-PARTITOCRATICO


Nacque a Melfi il 19 luglio 1868 da Vincenzo (1837-1916), agente demaniale e fervente mazziniano, e da Filomena Coraggio. Dopo aver compiuto gli studi ginnasiali nel collegio Salvator Rosa di Potenza, nel 1883 si recò a Napoli al Liceo “Vittorio Emanuele”. Sempre nella città partenopea conseguì la laurea in Giurisprudenza. Collaborò a vari giornali, dal “Corriere di Napoli” al “Mattino” di Edoardo Scarfoglio, fino al “Pungolo” di Michele Ricciardi.
Nel 1892, ad appena due anni di distanza dalla laurea, ottenne “per titoli” il pareggiamento in Economia Politica nell’Università di Padova. Nello stesso anno passò all’Università di Napoli. Ritenuto uno dei fautori della scuola storica di economia, nel 1894 fondò, con Luigi Roux, la rivista “La Riforma Sociale”. Nel 1898 divenne professore ordinario di Scienza delle Finanze all’ Università di Napoli.
Nel 1904 fu eletto deputato del collegio di Muro Lucano. Radicale indipendente, alla Camera sedette alla estrema sinistra. Chiamato a far parte nel 1907 della Commissione d’Inchiesta sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali, fu relatore per la Basilicata e la Calabria. Nel 1911 ebbe l’incarico di Ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio nel IV gabinetto Giolitti. Dopo Caporetto nel 1917 fu chiamato al Ministero del Tesoro nel governo Orlando. Il 23 giugno 1919 divenne Presidente del Consiglio, mantenendo per sé anche la responsabilità del dicastero dell’Interno. All’avvento del fascismo dovette lasciare l’Italia, riparando prima a Zurigo e, poi, a Parigi. Alla caduta del fascismo venne arrestato dalle SS nell’agosto del ‘43 e deportato in Germania. Nel luglio del 1945 ritornò in Patria dove, riavuta la cattedra universitaria con decreto dell’ottobre 1945 per uno stipendio annuo di 152.000 lire, riprese a collaborare col quotidiano romano “Il Tempo”, diretto dall’amico e conterraneo Renato Angiolillo, per l’eccezionale compenso di 50.000 lire ad articolo.
Componente della Consulta Nazionale, nella primavera del 1946, insieme a Orlando, Croce e Bonomi, diede vita all’Unione Democratica Nazionale (U.D.N.). Nelle elezioni del 2 giugno 1946 venne eletto in Basilicata con 28.267 preferenze, oltre che nelle circoscrizioni di Roma e Napoli, optando per quest’ultima. La sua profonda avversione al sistema dei partiti politici, nuovi padroni dell’Italia, risulta evidente in tutti i suoi interventi in Assemblea Costituente dove, comunque, diede un importante contributo critico. Contrario al sistema e all’impostazione della Carta Costituzionale, si oppose fino all’ultimo all’istituzione delle Regioni viste come “il disastro” e “il dissolvimento di tutta la vita italiana”, un formidabile pericolo per l’unità nazionale, uno sperpero di risorse pubbliche e un appesantimento della burocrazia. Anche la Corte Costituzionale per lui rappresentava una istituzione “inutile e dannosa”.
Preoccupato di approvare uno strumento formidabile nelle mani dei partiti politici e degli intrighi di parte, secondo lui i giudici in gran parte non sarebbero stati altro che “un prodotto di combinazioni, di transazioni, di intrighi”, esponenti di partiti e quindi senza autorità. Avremmo avuto, in definitiva, “una multiforme Assemblea, una inverosimile mischianza di giudici e di politicanti, di alti personaggi e di curiali (non certo giuristi)” pronti ad “accettare o raccattare voti dai partiti per essere eletti”. In tutti i suoi interventi egli combatté una battaglia di retroguardia, non comprendendo, o non volendo capire il nuovo che, pur tra mille difficoltà, stava nascendo. Ma su una cosa il vecchio politico aveva ragioni da vendere e la Storia lo confermerà: la tracotanza dei nuovi partiti a voler occupare ogni spazio della vita del Paese, a voler disporre di ogni centro di potere, anche, a discapito delle singole competenze, di quelli eminentemente tecnici.
La sua intuizione, pur dettata da cattedrismo e, qualche volta, dal piacere di ascoltarsi, sarebbe stata nel futuro confermata dal sistema partitocratico che avrebbe avvolto, ed avvolge tutt’ora, l’Italia in una stretta maglia dove lo spazio per i liberi pensatori come Nitti si sarebbe ridotto sempre più. Dopo l’esperienza della Costituente egli continuò a fare politica. Contrario alla “legge truffa”, votò, sia pure con forti dubbi, a favore del Patto Atlantico. Non partecipò alle elezione del 18 aprile 1948 perché affranto dal dolore della morte della moglie, Antonia Persico, avvenuta due mesi prima. In quanto ex Presidente del Consiglio fece parte del Senato della Repubblica dal 1948 al 1951. L’ultima sua battaglia politica la combattè nelle elezioni della capitale quando, nel 1952, capeggiò una lista civica. Non vinse e stette all’opposizione fino al 20 febbraio 1953, giorno della sua morte a Roma causata da una bronco-polmonite: aveva 85 anni.
Ricordando quel momento Paolo Pardo scrisse, sulle pagine de “Il Paese”, che Nitti aveva voluto intorno a sé i nipoti cui aveva raccomandato “andate, viaggiate nel Meridione, cercate di conoscerlo e di amarlo nel suo dramma; visitate la mia Melfi, la mia Acquafredda, la mia Basilicata; l’Italia stessa deve cercare di capire il Meridione”. Poi, già in delirio, quasi “inseguendo un sogno fantastico”, aveva chiamato il suo autista e gli aveva ordinato di preparare la macchina: “partiremo per Napoli, per la Basilicata; voglio rivedere la mia terra”. Con gli occhi pieni di lacrime l’autista gli aveva detto di si”.
Ci ha lasciato numerose opere, ricordiamo: L’emigrazione italiana e i suoi avversari (1888), Il Socialismo Cattolico (1891), La popolazione e il sistema sociale (1894), L’Italia all’alba del secolo XX (1901), La città di Napoli (1901), Napoli e la questione meridionale (1903), Il porto di Napoli (1907), L’Europa senza pace (1921), La decadenza dell’Europa (1922), La tragedia dell’Europa (1923), La pace (1925), La libertà (1926), La democrazia (1932-33), L’inquietudine del mondo (1934), La disgregazione dell’Europa (1938), Rivelazioni. Dramatis personae (1948).
Sulla sua tomba al Verano campeggia questa iscrizione: “La pace che non avemmo in terra per aver sempre seguito le stesse idee con la stessa fede sarà intorno a noi quando i nostri ideali di Patria ed i nostri sforzi di scienza e di lavoro saranno dopo la nostra morte compresi e riconosciuti”. Forse più di tutti fu Terracini a farne comprendere la statura quando in Parlamento disse: “Si può dire di Francesco Saverio Nitti come di certe antiche piante delle quali l’occhio giunge a valutare a pieno quanto fosse ampia e possente la fronda solo quando, abbattute che siano, l’orizzonte si apre tutto vuoto là dove prima si ergevano”.

Biografia tratta da www.tuttostoria.net