13 marzo 2013

FORD, CREATORE DI UOMINI-MACCHINA PER VENDERE MACCHINE A UOMINI


Interprete formidabile della Rivoluzione industriale. Vive nel mito del progresso sociale su quattro ruote e nella difesa dei valori americani, ma crea un turbine che trasforma sistemi economici e finanziari. Ricchezza e saggezza, durezza e paternalismo di un pioniere e di un sognatore
 
INQUINAMENTO EQUINO, CARROZZE SENZA CAVALLI E BOOM DEI CONSUMI
Tra le diverse cause che, verso la fine dell’800, hanno determinato quella che è stata definita la seconda Rivoluzione industriale: ad esempio il mutamento nel comparto agricolo, che perde forza lavoro verso altri settori; o la crescita demografica, con la conseguenza di un aumento della domanda di beni e servizi; una in particolare – la trasformazione dei consumi interni sotto forma di accresciuto desiderio di acquistare e possedere beni materiali – è diventata la filosofia produttiva alla base dell’incredibile avventura e della personale rivoluzione di Henry Ford, della Ford Motor Company nel 1903, ancora oggi una delle maggiori società produttrici di automobili del mondo, e del fordismo come sistema di fabbrica impostato su tecniche di produzione di massa e catena di montaggio. L’industriale americano, infatti, inventa un nuovo modo di “fare fabbrica”, per fornire alle masse un mezzo di trasporto poco caro e affidabile. E con parole sue prevede: “Costruirò un’automobile per le moltitudini. Sarà abbastanza grande da poter essere usata dall’intera famiglia e abbastanza piccola da essere guidata e curata da una sola persona. Sarà costruita con i migliori materiali, dagli operai migliori e con le tecniche più semplici che l’ingegneria moderna possa escogitare… Costerà tanto poco che chiunque abbia un buon salario se la potrà permettere”.
È un visionario, come emerge dalla sua ben nota raccolta di aforismi quando afferma che “un idealista è una persona che aiuta gli altri a prosperare”, ma condisce il suo idealismo di obiettivi molto pratici sostenendo che “c’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti”.
Difatti lo sviluppo del mezzo automobilistico risponderà non solo ad esigenze di miglioramento personale, come nella visione di Ford, quanto ai problemi di trasporto e di igiene di una nazione alle prese con l’estensione delle grandi città, dove tuttavia “all’inizio del secolo c’erano ancora tre milioni di cavalli in America e i loro escrementi costituivano uno dei principali problemi igienici del paese”. M. E. Parrish, L’età dell’ansia – Gli Stati Uniti dal 1920 al 1941, p.54.
 
È vero che il progresso abitualmente si porta dietro il paradosso, infatti nel giro di un ventennio l’inquinamento equino lascia il passo all’inquinamento a quattro ruote decisamente più letale. Ma “tra i molti problemi sorti con l’espansione degli agglomerati urbani, il più urgente era quello dei trasporti… Gli omnibus a cavalli erano troppo piccoli e lenti per spostare quotidianamente, due volte al giorno, un immenso numero di lavoratori da casa a lavoro. La ferrovia a vapore sopraelevata fu il primo passo avanti; adottata a New York dopo il 1870 e in seguito realizzata anche in altre città, essa era costosa da costruire, toglieva la luce a molte strade e alle case che vi si affacciavano, sporcava gli ignari passanti di grasso e cenere. Di conseguenza, dopo il 1880 parecchie città costruirono una funicolare seguendo l’esempio di San Francisco… ma l’unica soluzione efficace fu il tram, reso possibile dalla realizzazione della dinamo e quindi del trolley… molto più economico da costruire e da far funzionare… Infine, Boston e New York seguirono l’esempio di Londra e di Budapest e costruirono la metropolitana…”. M. A. Jones, Storia degli Stati Uniti – dalle prime colonie inglesi ai giorni nostri, p.292.
 
…L’automobile farà il resto da quando Ford nasce a Dearborn (Stato del Michigan) nel 1863. Egli si interessa ben presto a queste cosiddette “carrozze senza cavalli”, arrivando a costruire nel 1896 il primo prototipo di quadriciclo nel garage della propria abitazione. Da questi tentativi ciò che verrà fuori è l’affermarsi dell’automobile “quale settore trainante e principale catalizzatore del mutamento del decennio, così come le ferrovie lo erano state nell’Ottocento. Nessun industriale rappresentò le contraddizioni economiche e culturali del boom automobilistico meglio dell’ex apprendista meccanico Henry Ford”. M. E. Parrish, Cit., p.54.
 
Si profila un sistema economico moderno basato sulla capacità di fornire lavoro, beni e servizi in quantità crescente a basso costo e con salari reali in aumento. Il risultato, dagli inizi del ‘900 fino alla Grande depressione del 1929, è che con più soldi in tasca e in banca gli americani avviano spese folli mantenendo alti gli ordini all’industria e i profitti. Una caratteristica essenziale della società americana, opposta a quanto auspicato dai Padri fondatori degli Stati Uniti “che non credevano che il miglioramento del tenore di vita fosse sempre in assoluto un bene, perché ritenevano che la ricchezza minacciasse le istituzioni repubblicane e la pubblica virtù non meno della povertà. La povertà, a loro avviso, crea infatti risentimenti e paura; ma l’abbondanza infetta tutte le classi, con un gusto per il lusso che incanala ogni energia verso l’accumulazione delle ricchezze e verso incredibili sperperi… Sia pure con molte eccezioni, il popolo americano godette di uno standard di vita e di lussi fino ad allora sconosciuti sul loro continente e all’intera razza umana. Fra il 1919 e il 1929 la maggioranza degli americani, pur producendo di più, lavorò meno dei sui padri o nonni e portò a casa  paghe più alte, mangiò meglio, ebbe cure mediche migliori e di conseguenza visse più a lungo. Potendo spendere meno per le necessità quotidiane – cibo, vestiti casa – gli americani profusero una maggior percentuale del loro reddito in spese personali e ricreative”. M. E. Parrish, Cit., pp.45-46.
 
Questo quadro non può nascondere la sua cornice contradditoria che proietta, dopo la Prima guerra mondiale, la realtà americana in un periodo sì di incredibile ricchezza ma anche di tremenda povertà: “La rivoluzione industriale, oltre a cambiare radicalmente la struttura economica del Paese trasformò gli Stati Uniti come società, coinvolgendo ogni aspetto della vita. Diede inizio all’era delle macchine, dell’elettricità, dell’acciaio, dei mercati vasti come l’intero paese, dei giganteschi gruppi industriali monopolistici. L’industrializzazione si accompagnò a progressi stupefacenti della tecnologia, ma fu anche talmente rapida che il suo impatto sulle strutture economiche sociali provocò inevitabili traumi: tra le conseguenze più gravi si possono enumerare i grandi squilibri nella distribuzione della ricchezza, la concorrenza spietata, i conflitti sociali e di lavoro e la serie di complessi problemi che investirono l’intera organizzazione sociale”. M. A. Jones, Cit., p.265.
 
UNA VETTURA OGNI 10 SECONDI E IN TASCA 264.000 DOLLARI AL GIORNO
Ford è l’interprete per eccellenza di questo scenario, in cui si intrecciano la necessità di soddisfare i bisogni e i desideri sociali con una condizione di sfruttamento del lavoro orientato alla massima produttività. Egli non frena l’opportunità di un miglioramento della classe operaia, ma a prezzo di un’alienazione totale che fa dell’uomo niente di più che un ingranaggio del meccanismo di costruzione. Ma il boom economico non si può fermare, l’automobile è uno snodo fondamentale nella rivoluzione sociale in atto, e Ford intuisce che quanto già sperimentato nel settore può trasformarsi da curiosità per ricchi e patiti di meccanica in un’apoteosi di produzione e consumo di massa; così come si leggerà in una delle prime campagne pubblicitarie: “per costruire e lanciare sul mercato un’automobile specialmente progettata per il consumo quotidiano – che possa essere utilizzata per motivi di lavoro, professionali e familiari – una vettura che sia ammirata da tutti, uomini, donne e bambini, per la compattezza, la semplicità, la sicurezza, la convenienza sotto ogni punto di vista e – ultimo ma non per questo meno importante – il prezzo estremamente ragionevole, che la mette alla portata di migliaia di persone che non potrebbero permettersi i costi astronomici di quasi tutte le altre vetture”.
Naturalmente Ford non ha chiaro solo ciò che vuole produrre (automobili Ford), ma ha più chiaro come produrre (Fordismo). Ed ecco che a partire dal 1909 a Detroit, in una piccola fabbrica di un terzo di acro con 350 dipendenti “introduce una serie di tecniche di produzione molto efficaci: a. le parti completamente intercambiabili; b. la suddivisione del lavoro estremamente rigorosa; c. la catena di montaggio. Tutte queste innovazioni avevano lo scopo di aumentare l’efficienza di ogni singolo lavoratore. Era fondamentale, secondo l’industriale americano, non far perdere tempo all’operaio costringendolo a cercare da solo le parti e il materiale di cui aveva bisogno, o addirittura a sollevarle da terra prima di cominciare a lavorarci sopra. Fece allora in modo di avvicinare il lavoro all’operaio, e introdusse l’uso di nastri trasportatori, scivoli, e carrelli sospesi. I pezzi arrivavano davanti all’operaio all’altezza giusta, e il lavoro veniva sbrigato in un tempo molto più breve. I metodi di lavoro venivano analizzati attentamente, per individuare tecniche nuove e sempre più efficienti. I compiti complessi venivano suddivisi in compiti più semplici, che potevano essere eseguiti da operai non specializzati (alcuni dei quali potevano avere un basso quoziente intellettivo, essere privi di istruzione, o handicappati), e senza lunghi periodi di addestramento”. M. Hart, Gli uomini che hanno cambiato il mondo, pp.145-147.
 
Ford corona il suo sogno e il primo risultato è la “Modello T” (ribattezzata Tin Lizzie, la scatoletta Lizzie, o Fliver, il macinino) prodotto in migliaia di esemplari al costo di 850 dollari l’uno: “Era un veicolo di grande semplicità, composto di sole quattro unità di base: il motore, il telaio, l’assale frontale e quello posteriore. Era però piuttosto brutta ma facile da riparare, richiedeva poca manutenzione e poteva andare su quasi ogni superficie, il che non era un vantaggio da poco, dato lo stato delle strade del tempo, in gran maggioranza sterrate. Fu questo a rendere la Modello T particolarmente attraente agli occhi di contadini e commessi viaggiatori, tanto che secondo la leggenda un contadino chiese ai suoi parenti di seppellirlo con la Modello T, perché ‘non c’è buco da cui la mia Ford non sia riuscita a tirarmi fuori’”. M. E. Parrish, Cit., p.54.
 
Insomma, al contrario di quanto pensano banche ed economisti, almeno all’inizio, la Ford invece di fallire, fatica ad evadere tutti gli ordini d’acquisto. Ma già Ford non pare sin dal principio impaurito dalla prova perché per lui “ogni fallimento è semplicemente un’opportunità per diventare più intelligente”, “chi non osa non sbaglia” e “che tu creda di farcela o di non farcela avrai comunque ragione”.
Da qui un successo inarrestabile che fa calare il prezzo a 500 dollari a modello nel 1913, 360 dollari nel 1916, fino ad arrivare a 260 dollari nel 1926 mentre il perfezionamento della catena di montaggio permette di “sfornare” una vettura ogni 10 secondi. Come ovvio più i prezzi scendono più le vendite salgono, gli Stati Uniti diventano una “nazione su quattro ruote” e Ford uno degli uomini più ricchi del mondo: “La Ford Motor Company controllava ogni aspetto della produzione, dalle miniere di carbone e ferro, al legname, ai macchinari. La Associated Press proclamò che Ford era un miliardario, dopo aver ricordato che guadagnava 264 mila dollari al giorno”. M. E. Parrish, Cit., p.55.
 
È miliardario, dunque, ma non avido se pensa che “un affare in cui si guadagna soltanto del denaro non è un affare”, o “il denaro è come un braccio o una gamba: o lo usi o lo perdi”. Così mano a mano che gli operai diventano più produttivi, Ford può permettersi di pagarli meglio, tanto che già nel 1914 “sbalordì il mondo dell’industria portando lo stipendio minimo del suo stabilimento a 5 dollari al giorno, cifra enorme per quei tempi, che rappresentava circa il doppio di quello che era stato in precedenza lo stipendio medio pagato dalla compagnia. Quando questo nuovo regime di stipendi si estese a tutto il paese, il risultato generale fu che gli operai delle fabbriche passarono dalla fascia dei poveri alla classe media”. M. Hart, Cit., p.147.
 
DA UNA MACCHINA PER TUTTI A UNA MACCHINA PER TUTTI… I GUSTI
È un boom senza precedenti che proietta la società verso una nuova era sia in termini di libertà personale che di sviluppo del sistema economico nazionale. La Modello T e le auto prodotte dai concorrenti di Ford – General Motors, Chrysler, Strudebaker, Packard e Hudson – assumono un ruolo cruciale nel quadro produttivo complessivo: “Nel 1929 il settore dell’auto impiegava oltre il 7% dei lavoratori dell’industria manifatturiera, pagava il 9% dei salari e stimolava l’occupazione, la produzione e gli investimenti in una grande quantità di industrie necessarie alle catene di montaggio di Detroit, come quelle dell’acciaio, del vetro, della gomma, delle vernici, delle macchine utensili”. M. E. Parrish, Cit., p.56.
 
E i numeri parlano da soli: nel 1920 negli Stati Uniti sono 9 milioni le vetture immatricolate, nel 1929 si arriva a 27 milioni; cioè un’automobile ogni 5 americani. Dalle quattro ruote si avvia velocemente un cammino che stimola non solo i settori tradizionali dell’economia, l’industria petrolifera o l’edilizia per la costruzione o l’ammodernamento delle reti stradali, ma generà attività del tutto nuove: “Apparvero officine che raddrizzavano parafanghi ammaccati, sostituivano vetri in frantumi e mettevano a posto telai piegati. Contadini lungo le autostrade vendettero parte della fattoria di famiglia a imprenditori che intendevano costruire motel e campeggi per gli automobilisti. Dato che poi non tutti potevano permettersi una Ford, una Chevy o una Chrysler nuove, sorse il mercato dell’usato; senza contare che i costruttori fecero di tutto per consentire di avere un’auto nuova a chi aveva poco contante. Fin dal 1919, infatti, la General Motors offrì un sistema di vendite a rate e scatenò la concorrenza di banche e finanziarie”. M. E. Parrish, Cit., p.57.
 
Si apre quindi un’altra pagina che Ford nella sua filosofia semplice e idealista forse non ha previsto. Del resto lui dice “non considero le macchine che portano il mio nome semplicemente della macchine. Se non fossero che quello mi sarei occupato d’altro. Per me sono la concreta realizzazione di una teoria che mira a fare di questo mondo un posto migliore per gli uomini”.
Ma nella produttività subentrano la sociologia e la moda: più la gente comune migliora il proprio tenore di vita, più ambisce a qualcosa di meglio. Ford dà alle persone un mezzo di trasporto prima riservato solo ai ricchi, ma ora l’americano medio vuole emulare i ricchi. Del resto la Modello T è poco cara e sicura ma piuttosto brutta, disponibile solo in nero e in quanto aperta assai scomoda in caso di cattivo tempo: “I concorrenti di Ford capirono prima di lui che i maggiori redditi, le vendite a rate, la gran quantità di auto usate disponibili, le carrozzerie chiuse e l’uscita di nuovi modelli ogni anno stavano trasformando il mercato dell’auto… Gli acquirenti di medio reddito… creavano domanda non per mezzi di trasporto base, ma per macchine più avanzate, con più comfort, potenza, accessori e stile… Nel 1925 la General Motors presentò la sua lucente Chevrolet Modello K
 
La Hudson, intanto metteva in vendita la Essex sportiva a 895 dollari…
 
 
 
 
 
 
 
 

Ford licenziò 10.000 dipendenti e chiuse per 12 mesi la gigantesca fabbrica di River Rouge per ristrutturarla in vista della produzione di una nuova vettura, la Modello A… L’attraente Modello A poteva essere acquistato a rate, in modelli diversi e in una serie di colori che andavano dal blu Niagara a sabbia Arabia. Ford poté in questo modo tornare in testa alle vendite nel 1929…”. M. E. Parrish, Cit., pp.59-61.
 
Il grande industriale, artefice di una rivoluzione sociale per offrire un’opportunità a tutti, via via scopre una tendenza della vita americana, l’idea di progresso oltre i bisogni più comuni, molto lontana dalla sua strategia che “era stata quella di vendere un numero sempre maggiore di auto fra loro simili a prezzi decrescenti, in base all’assunto che il mercato non avrebbe mai smesso di crescere… Era questo il sogno di un capitalista orientato alla produzione… La strategia della General Motors era invece quella, più radicale, di un capitalismo rivolto al consumo, che partiva dall’assunto di poter sostenere la produzione nel lungo periodo solo persuadendo il pubblico che ogni mutamento di stile rappresentava un miglioramento decisivo rispetto ai modelli precedenti…”. M. E. Parrish, Cit., p.61.
 
I grandi produttori automobilistici cominciano a rincorrersi tanto che arrivano a mettere sul mercato auto quasi identiche per qualità e prezzo. La centralità della produzione viene affiancata dall’abilità di vendita e dalla pubblicità come sostiene lo stesso Ford “chi smette di fare pubblicità per risparmiare soldi è come se fermasse l’orologio per risparmiare il tempo”.
E così “…il pubblico veniva sottoposto a un fuoco incrociato di lusinghe per convincerlo a comprare l’ultimo modello. Gli americani non compravano più un mezzo di trasporto; ma… acquistavano status, potere, sex appeal e pace psicologica”. M. E. Parrish, Cit., p.62.
 
PROTESO AL BENESSERE UMANO COME IL PADRONE CON IL CANE: OSSO E BASTONE
Ford pertanto si piega all’evoluzione del mercato dopo aver difeso con i denti le sue convinzioni un po’ moraliste e populiste: uomo di provincia, figlio di un contadino, difensore delle virtù americane tradizionali – lavoro, frugalità, fiducia in se stessi – odia alcool e tabacco, si immagina come uno dei grandi liberatori della storia del suo paese, vede nel Modello T il mezzo “per godere la gioia del piacere nei grandi spazi aperti datici da Dio”, crede che la sua rivoluzione conservi intatto l’ordine sociale e i valori della sua giovinezza; e invece scatena un turbine nella società e nell’economia.
Riaffiorano i già citati paradossi del progresso: “Nello stesso momento in cui Ford proponeva la sua visione tradizionale dell’America, la Modello T lo distruggeva. Egli deplorava la congestione, il crimine e la perversione morale delle città mentre l’automobile ne gonfiava la popolazione, consentiva ai criminali una maggiore mobilità e forniva il luogo mobile e poco caro per fare l’amore... Denunciava con regolarità il charleston, il jazz, il fumo e il bere; ma Ford metteva le ruote al sesso, all’alcool e alla musica”. M. E. Parrish, Cit., p.58.
 
Paradossi e contraddizioni ancora più evidenti nei metodi di ferro con cui conduce fabbrica e affari: “L’ufficio del personale controllava anche la vita privata dei dipendenti, ai quali veniva comunicato che, dal momento che per Ford tabacco e alcool conducevano inevitabilmente al crimine, aver l’alito che sa di birra, vino o liquore e tenere tali bevande intossicanti a casa sarebbe costato il posto… Più di un funzionario trovò l’ufficio gettato all’aria e la scrivania fatta a pezzi con un’ascia per aver fatto qualcosa che non piaceva al boss”. M. E. Parrish, Cit., p.58-59.
 
I suoi dipendenti non possono aderire ad alcun sindacato perché come dichiara in un’intervista “I sindacati sono una macchinazione per interrompere il lavoro organizzata da finanzieri ebrei. Un sindacato è un bel marchingegno per un ebreo che abbia messo gli occhi su un’industria”.
 
È portatore, allora, di una vena antisemita che trasferisce anche in politica ritenendo gli ebrei causa dello scoppio della Prima guerra mondiale e finanziando un libretto “L’ebreo internazionale” sull’ipotetico progetto di dominio del mondo da parte del popolo ebreo. In seguitò farà ritirare le copie dal commercio ma queste idee e, soprattutto, l’impegno della filiale Ford in Germania gli varranno da parte di Adolf Hitler, nel 1938, il conferimento della Gran Croce del Supremo Ordine dell’Aquila Tedesca. Avrà tempo per riflettere su tutto questo morendo nel 1947, più o meno all’indomani della Seconda guerra mondiale. Anche se “queste sue successive attività danneggiarono la sua reputazione, ma non ebbero grande impatto sul mondo, né alcuna influenza sull’importanza del ruolo da lui avuto nella rivoluzione della produzione industriale e nell’incremento della produttività e del reddito della classe operaia”. M. Hart, Cit., p.147.