23 ottobre 2012

RAMESSE II, UN GRANDE FARAONE TRA “AUTOPOIESI” E “COLOSSALISMO”

L’autobiografia quotidiana di uno dei principali sovrani egizi in un tripudio di monumenti, guerre, mogli e figli. Alla sfida dei millenni, un esempio ineguagliabile di “culto della personalità” esaltato più che narrato in un irrefrenabile furore architettonico
 
ARCHITETTO INSTANCABILE DEL PROPRIO CULTO
Se l’Egitto, nella sua storia millenaria, è terra di misteri per antonomasia, pur avendo lasciato all’umanità evidenti tracce di magnificenza artistica e di governo; Ramesse II ha combattuto questa tradizione esistenziale enigmatica con un estremismo di propaganda e autocelebrazione di sé che non ha pari con nessuno dei suoi “colleghi” delle Piramidi. Per questo lo si può annoverare tra i più grandi faraoni che siano mai esistiti in più di 3000 anni, alcuni dei quali però – seppur importanti – restano completamente avvolti nei segreti più fitti dell’antichità.
Del resto il nostro protagonista è stato facilitato da una parabola di vita lunga 85 anni in cui ha regnato per 67. Un abbondantissimo percorso in cui si è raccontato giorno dopo giorno e atto dopo atto in un’autopoiesi continua come necessità di definirsi costantemente, trasformandosi da soggetto umano/divino a metabolismo vivente da cui tutto parte e tutto torna: “Re autopoietico per eccellenza, Ramesse II ha fatto mito di sé, per iscritto e con immagini, portando all’estremo una caratteristica della civiltà faraonica i cui regali protagonisti, lo ricordiamo, hanno saputo fin dalle origini usare tutti gli strumenti della propaganda”. E. Bresciani, Ramesse II, p.10.
 
Figlio di Sethi I, Ramesse II nasce ad Avaris intorno al 1297 a.C. e i primi anni di regno, a partire dal 1279 a.C., lo vedono impegnato negli affari interni proprio “inaugurando la tendenza, già mostrata dal padre, a un’accentuata monumentalità in ambito edificatorio”. A. Frediani, I Grandi condottieri che hanno cambiato la storia, p.451.
 
Il perno della sua azione, in sintesi, nell’ambito di un regno tra i più longevi della storia sta “nelle ampie tracce di sé e un’opera di difesa delle frontiere egiziane efficace quanto lo era stata quella di espansione di Thutmosi III… La fama di cui Ramses ha goduto presso i posteri si deve, in larga misura, alla figura che il faraone stesso ha tramandato di sé, riempiendo i templi edificati nel corso del suo lungo regno di tributi al proprio valore guerriero”. A. Frediani, Cit., pp.451, 454.
 
… E continuerà a stare al centro dell’attenzione anche nell’infermità della morte (1212 a.C.), grazie alla scoperta della sua mummia e alla possibilità, dal 1976, di analizzarne il caso clinico a partire da una carie piuttosto dolorosa forse dovuta ad un eccessivo consumo di miele: “Il faraone soffriva di lesioni dentarie importanti; negli ultimi anni della vita aveva sofferto di devastanti forme di arteriosclerosi ed era affetto da una forma gravissima di spondilartrite anchilosante, tanto che doveva camminare curvo appoggiandosi ad un bastone, almeno durante gli ultimi vent’anni di vita”. E. Bresciani, Cit., p.11.
 
QADESH, DA UNA QUASI SCONFITTA A UN TRIONFO DIPLOMATICO
Ramesse II assaggia molto presto la polvere delle campagne militari, già a 10 anni segue il padre in alcune spedizioni. Da faraone risolve la questione dei pirati Shardana le cui incursioni minacciano le relazioni commerciali sulla costa mediterranea. I depredatori sconfitti verranno inglobati nel proprio esercito e nella guardia personale. Ed ecco una delle tante stele commemorative che descrivono l’evento: “Colui il cui prestigio ha traversato il mare (Egeo), sicché la gente delle isole che sono nel mezzo sono sotto il timore di lui e vengono a lui, con i tributi dei loro principi. Gli Sciardana dal cuore ribelle, che non si sapeva come combatterli fin da sempre, che venivano col cuore pieno di fiducia (perché navigavano su navi) da combattimento nel mezzo del mare e non si sapeva come affrontarli, invece lui li ha presi con la forza del suo braccio valoroso e li ha portati in Egitto, il re dell’Alto e del Basso Egitto, figlio di Ra (Dio Sole), Ramesse Meriamon”. E. Bresciani, Cit., pp.45-46.
 
Li ingloba quindi come mercenari. Servono uomini perché all’orizzonte si affaccia il vero nemico, gli Ittiti. Nel frattempo, l’esigenza di un’azione forte in politica estera e sul tema della sicurezza delle frontiere spinge il faraone “costruttore” ad edificare una nuova capitale più adeguata, sarà Piramesse: “La posizione della residenza era anche strategicamente opportuna, con facilità di comunicazione col Mediterraneo ma anche col Mar Rosso, atta al controllo sulle regioni limitrofe e come piazzaforte ben munita di soldati e arcieri scelti”. E. Bresciani, Cit., p.41.
 
Dalla sua città si pone a portata di tiro verso gli avversari: “Il loro impero premeva sulle frontiere egiziane, che prima del loro avvento inglobavano pressoché l’intera area siriana; col tempo, invece, Qadesh e Amurru, estreme propaggini settentrionali del regno egizio, erano divenute i capisaldi più meridionali dell’impero ittita, e Ramses fu costretto a condurre una prima spedizione…”. A. Frediani, Cit., p.451.
 
Qadesh è uno snodo formidabile nella storia delle guerre, in quanto prima battaglia cui si possono ricostruire la tattica e la disposizione degli eserciti. Ramesse II si lancia con 20.000 uomini in 4 divisioni e 200 carri e questo scontro può rappresentare la sua fine cadendo nella trappola preparata dal re ittita Muwatalli II: “Con uno stratagemma riuscì a far credere di trovarsi lontano, presso Aleppo, a 200 chilometri di distanza. In realtà era appostato nei pressi… celato alla vista dall’altura sulla quale sorgeva la città. Aveva con sé molta fanteria con nutrite formazioni di carri da combattimento, più numerosi della sabbia delle spiagge”. M. Hart, Gli uomini che hanno cambiato il mondo, p.394.
 
Ramesse II, troppo sicuro di sé, convinto di cogliere una facile vittoria trascura ogni precauzione e va all’attacco con una sola divisione, mentre le altre tardano ad arrivare. L’imprevisto assalto ittita crea un fuggi fuggi generale, ma secondo gli agiografi il faraone conserva il controllo nello sbandamento collettivo e dice al suo auriga: “Sta saldo, rincuora te stesso! Io agirò su di loro come l’artiglio del falco, ucciderò, massacrerò, li stenderò al suolo! Non sono venuti i principi, gli ufficiali, i soldati ad aiutarmi mentre combattevo. Ho vinto milioni di nemici da solo, ero con i miei due grandi cavalli… Io darò loro da mangiare con le mie mani ogni giorno quando sarò rientrato a Palazzo, perché sono loro che mi sono trovato accanto quando ero in mezzo ai nemici, così come il conduttore del mio carro, il mio scudiero Menna e le genti della mia guardia, che sono state al mio fianco e furono con me nel combattimento”. M. Hart, Cit., p.394.
“Ramses era rimasto con un pugno di carri, circondato dall’avversario. Sopraggiunse proprio allora, da nord, il distaccamento che aveva inviato lungo la costa, che soprese da tergo i carri ittiti e liberò il faraone dalla morsa, aiutandolo a sostenere ben sei attacchi successivi… Nel frattempo sopraggiunse anche la terza divisione, che contribuì a mettere in fuga i mezzi ittiti… La notte pose fine al combattimento e il giorno seguente Muwatalli richiese un armistizio; egli non aveva ancora impiegato la fanteria, ma d’altronde anche Ramses aveva almeno un quarto dell’esercito integro. Tuttavia il faraone aveva dovuto rimproverare aspramente i suoi uomini, che lo avevano abbandonato, e non se la sentiva di rischiare una nuova battaglia con le truppe che non gli davano pieno affidamento. Ramses accettò pertanto la tregua e tornò a Sud”. A. Frediani, Cit., pp.454-455.
 
La battaglia di Qadesh si risolve in una mezza vittoria, il faraone non riesce a conquistare la città e le ostilità riprendono più volte negli anni senza che nessuno dei due antagonisti riesca a prevalere definitivamente. Si arriva così, anche per via della minaccia assira, ad un trattato di pace con il nuovo re ittita Hattusil III. Questa l’altra fondamentale specificità storica del conflitto: il primo accordo che si ricordi tra due stati di pari livello. Si tratta di una pace vera e propria che apre a forme di collaborazione attiva, anche per l’opportunità di proteggersi dal pericolo comune dell’Assiria: “Impegno alla pace e alla fratellanza, il grande signore di Khatti non attaccherà l’Egitto per depredarlo, e il grande re d’Egitto non invaderà mai il paese di Khatti per depredarlo… Segue, nel testo del trattato, l’impegno reciproco di soccorso in caso di attacco da parte nemica dei due territori, impegno a non concedere diritto di extraterritorialità a transfughi importanti o anche a persone non importanti nell’uno e nell’altro Paese”. E. Bresciani, Cit., pp.60-61.
 
Dai pochi resoconti pervenuti si può tentare una valutazione un po’ più slegata dalla fama presso i posteri che questa figura tramanda di sé: “Traiamo l’impressione che Ramses II fosse un personaggio dotato di uno straordinario coraggio, ma un tattico di scarsa levatura, che osava aggirarsi in territorio nemico con un esercito sfilacciato, e un comandante di tenue carisma, incapace di tenere a freno i propri uomini presi dal panico. Senza dubbio migliore ci appare il grande faraone come stratega. La sua opera consentì all’Egitto di approfittare delle difficoltà degli ittiti per sottrarre loro territori e guadagnarsi una pace tutto sommato favorevole, e apportò sicurezza anche lungo le frontiere sud-occidentali, che da lungo tempo erano sottoposte alla costante minaccia dei libici e dei pirati”. A. Frediani, Cit., p.454.
 
UN’ETERNITÀ SCOLPITA IN VITA
Una volta equilibrata e normalizzata la propria sicurezza da minacce più o meno insidiose, Ramesse II si dedica con tutte le sue forze alle tendenze di grande costruttore completando i monumenti edificati dal padre e arricchendo l’Egitto di una serie straordinaria di opere. Da Abu Simbel al Ramesseum, da Karnak a Luxor a Piramesse, “Ramses parla all’immaginazione attraverso i resti colossali dei templi che eresse, delle tombe, delle statue, degli obelischi. Le sue gesta guerresche sono state tramandate dagli scribi, esaltate dall’epica, scolpite nella pietra”. M. Hart, Cit., p.393.
 
È nell’attività edilizia che Ramesse II crea il mito di se stesso come eroe di guerra, in una drammatizzazione “patetica” finalizzata all’esaltazione personale. Peraltro in questo “monumentalismo” insaziabile non si preoccupa di demolire edifici eretti precedentemente da Akhenaton, per riutilizzarne i materiali, né di sfigurare altre costruzioni. “L’Egitto raggiuge il vertice della propria potenza politica sotto i sovrani della XIX dinastia. Ramsete II, detto più tardi ‘Grande’, durante i suoi anni di regno esprime la propria potenza in monumenti colossali ad Abu Simbel, Karnak, Luxor, nel ‘Ramesseum’, ad Abido, a Menfi”. C. W. Ceram, Civiltà sepolte, p.131.

Monumenti che parlano e tramandano. Già moltissimo tempo dopo, nel primo secolo d.C., (immaginando politiche di conservazione dei beni culturali non molto sviluppate), questo Germanico raccoglie nel suo viaggio: “Visitò le grandi rovine dell’antica Tebe, là dove sui grandiosi edifici si conservavano ancora dei geroglifici che chiudevano in sé la voce della grandezza antica. Un sacerdote degli anziani, pregato di tradurre la lingua dei suoi padri, riferiva che là avevano abitato settecentomila uomini atti alle armi, e che con quell’esercito il re Ramses si era impadronito della Libia, dell’Etiopia, della Media, della Persia, della Battriana e della Scizia e delle terre abitate dai Siriaci, dagli Armeni e dai vicini Cappadoci e che lo stesso re aveva dominato da quella parte il mare di Bitinia, da questa il mare di Licia. Si leggevano in quelle iscrizioni anche i tributi, imposti alle genti, la quantità d’oro e d’argento, il numero delle armi, dei cavalli e i doni offerti dai templi, l’avorio e i profumi, la quantità di grano e di ciò che serve ai bisogni della vita e che ogni nazione doveva pagare, in non minori proporzioni di quanto oggi richiedano la prepotenza dei Parti o la potenza dei Romani”. E. Bresciani, Cit., p.91.

UNA COLOSSALE MOLTIPLICAZIONE DI MOGLI E FIGLI
Oltre a riempire l’Egitto di monumenti, Ramesse II “invade” il suo paese con circa 100 figli grazie ad un significativo numero di mogli. Molti di questi affiancano il padre in ruoli militari o religiosi e altrettanti, naturalmente, ne testimonieranno la grandezza attraverso i millenni “ornando” costruzioni a loro dedicate: “Ostentò una fierezza quasi ossessiva per i numerosissimi figli (almeno 50 figli e 40 figlie) di madri diverse, nominandoli e facendoli rappresentare sui suoi monumenti con una insistenza che non si conosce per faraoni precedenti, e che potrebbe essere considerato parte del programma propagandistico perseguito dal re… Ad Abu Simbel, ai lati dei colossi di facciata sono raffigurati 6 figli, all’interno del tempio 9 figlie; a Karnak, nelle scene della battaglia di Qadesh, ben 12 figli… Non meraviglia che per una progenie così numerosa il faraone abbia fatto approntare nella Valle dei Re, proprio di fronte alla propria, una tomba multipla”. E. Bresciani, Cit., pp.31-32.

L’harem del faraone invece comprende molte donne, Nefertari la più nota e forse la più amata; figura onnipresente, furba, intelligente e bellissima. Secondo alcuni studiosi addirittura probabile sorellastra del faraone. Infatti tra le spose di Ramesse II figurano anche alcune figlie, ma non è accertato se si sia trattato di vere unioni carnali oppure titolature onorifiche o rituali. Molta risonanza viene data al matrimonio del faraone con la figlia di Hattusil III, Maatneferura, per consolidare ulteriormente i rapporti tra egiziani e ittiti dopo la pace. Avvenimento commemorato, come al solito, su grandi stele ad Abu Simbel e Karnak; su quest’ultima si legge: “Ed ecco che la figlia del grande principe di Kheta fu condotta alla presenza di Sua Maestà e siccome piacque al cuore di Sua Maestà, Sua Maestà fece redigere il suo nome in qualità di grande sposa regale: Maatneferura (Colei che vede la bellezza di Ra)… E’ stata una meraviglia misteriosa che non si era mai verificata prima in Egitto. Il paese di Kheta venne, con cuore devoto, sotto i piedi di Sua Maestà, di modo che, se qualcuno, uomo o donna, doveva recarsi in Asia e giungere al Paese di Kheta, non c’era paura nel suo cuore, grazie alla grandezza e alle vittorie di Sua Maestà”. E. Bresciani, Cit., p.29.

Per tutta questa scenografia vivente che intreccia governo e famiglia, Ramesse II resta una delle figure più emblematiche della gloria e del potere dell’Egitto faraonico: “Ha ben meritato d’essere chiamato grande. Avendo fatto prova nella battaglia di Qadesh d’un coraggio straordinario, è entrato ancora in vita nella leggenda. Tutta la sua vita ha esercitato coscienziosamente il suo mestiere di re. Il suo egoismo mostruoso era temperato dalla bontà di cui hanno beneficiato i suoi soldati, i suoi artisti, i membri della sua famiglia e si può perfino dire l’insieme dei suoi sudditi”. E. Bresciani, Cit., pp.12-13.

L’UNICO VERO MISTERO CIÒ CHE APPARE PIÙ NOTO: L’ESODO E IL MAR ROSSO
Ma Ramesse II è o non è il faraone a cui la Bibbia allude, senza nominarlo, come colui che in un primo momento concede la libertà agli israeliti guidati da Mosè nel grande Esodo e poi per dar loro la caccia annega nel Mar Rosso? Ne è più convinta la cinematografia, con il suo celebre Kolossal (ovvio) I dieci comandamenti, che non gli studiosi: “Il racconto biblico afferma che il faraone annegò nelle acque del mare; allora i re di queste dinastie di cui esistono le mummie dovrebbero venire esclusi; ma per la XVIII dinastia mancano le mummie di Hatsepsut e di Akhenaton; per la XIX dinastia la mummia di Seti I c’è, intatta. Ramesse II è morto tranquillamente ottuagenario; la sua mummia, sottoposta a numerosi esami in occasione del suo restauro e pulizia, non ha mostrato segni di annegamento”. E. Bresciani, Cit., p.68.

Altre interpretazioni attribuiscono questa responsabilità al successore del grande faraone, il figlio Merneptha, per via di una stele che riporta una lista di paesi vinti: “I re sono abbattuti e dicono Salam! Nessuno tiene alta la testa tra i Nove Archi. La Libia è devastata, Kheta è pacificata, Canaan è depredata con ogni male, Askalon è deportata, Gezer è conquistata, Yonoam ridotta come se non esistesse, Israel è desolata e non c’è più il suo seme, la Palestina è divenuta per l’Egitto come una (debole e indifesa) vedova…
Ma anche la mummia di Merneptha è intatta, senza tracce di annegamento”. E. Bresciani, Cit., pp.69-71.


Mistero!!! Colossale mistero!!!

1 ottobre 2012

RANAVALONA, REGINA MALEDETTA TRA BAGNI DI SANGUE E SAPONE


Un Lungo regno in Madagascar tra stermini di massa antieuropei e anticristiani. Follia, amore per la tortura o reazione nazionalista alle insidie feroci del colonialismo? Storia di una donna eccentrica, ossessionata più dalla pulizia del corpo che dell’anima


MADAGASCAR, UN PARADISO TERRESTRE PRIMA DI UN REGNO INFERNALE 
Se il regno di questa donna durerà più a lungo, il Madagascar finirà per essere spopolato… Sangue, sempre sangue: è questa la regola della regina Ranavalona, una donna maledetta che considera sprecato il giorno in cui non ordina almeno una mezza dozzina di esecuzioni capitali. È la sintesi che si tramanda nel tempo sul potere di una sovrana a capo di un’isola di convivenza e tolleranza.
Il Madagascar, sin dal 1500, attira le attenzioni di esploratori portoghesi alla ricerca di nuove rotte commerciali verso Oriente: “L’Isola era descritta come un paradiso terrestre, brulicante di lemuri, megachirotteri, camaleonti, rane mantelle e coua giganti. Il Madagascar era anche benedetto da foreste pluviali e terre fertili. Non c’è da sorprendersi, quindi, che ognuno ambisse ad un pezzo di questo luogo…”. S. Klein, I personaggi più malvagi della storia, p.210.
 
Immediatamente Francia, Inghilterra e Olanda cominciano ad avanzare pretese su una terra considerata molto appetibile. Nel 1642, il Cardinale Richelieu avvia la spedizione Compagnia dell’Oriente per sfruttare l’isola in tutti i modi possibili. Vi giungono anche missionari cattolici, il tutto in un susseguirsi di scontri sanguinosi con gli indigeni fino alla svolta di Radama I, primo sovrano dell’isola unificata tra tutte le tribù. Dal 1817, grazie ad un enorme sforzo diplomatico stringe rapporti amichevoli con le principali potenze europee: “Dal momento che era un monarca abile e di ampie vedute, Radama era impaziente di modernizzare la sua terra: di conseguenza, si affidò agli inglesi per elevare il livello delle sue forze armate. Inoltre, desiderava introdurre riforme sociali, politiche e, sempre secondo le linee occidentali, creò un Parlamento e invitò la Società missionaria protestante a visitare l’isola”. S. Klein, Cit., p.211.
 
I primi effetti della nuova politica del re vanno dall’abolizione del commercio degli schiavi all’istituzione di una scuola per insegnare il Vangelo, e più in generale a leggere e scrivere. Un’idea brillante giacché il suo popolo (malgascio) è privo di forme scritte di linguaggio. Ma il cammino dura poco, Radama muore a 36 anni e, in mancanza di figli, a lui succede la moglie Ranavalona dopo aver fatto trucidare il nipote del re aspirante al trono, Rakotobe, e tutti i suoi sostenitori. Per il Madagascar sarà un fase di violenza antieuropea e anticristiana.
 
DALLA BIBBIA MALVAGIA AI CRISTIANI BOLLITI
Mentre in Europa soffia forte il vento di libertà e modernità della Rivoluzione Francese, in Madagascar cristiani e missionari pagheranno a caro prezzo l’odio di una donna per tutti gli stranieri e i simboli di un colonialismo, anche religioso, aggressivo verso gli antichi costumi e le credenze degli abitanti dell’isola.
Ranavalona nasce tra il 1782 e il 1790 nella tribù dei Menabe, ma poche sono le informazioni sulla sua vita fino all’ascesa al trono. Cronache del tempo la descrivono odiata e temuta: “Poteva avere un’età compresa tra i quaranta e i cinquant’anni; il volto era rotondo, con un piccolo naso diritto, ciglia lunghe e una bocca piccola e carnosa, la pelle nerissima e morbida. Poi quando incontravate il suo sguardo, sentivate un brivido di paura lungo la schiena e all’improvviso comprendevate che ciò che avevate udito era vero, e gli orrori che avevate visto non avevano bisogno di altre spiegazioni. Quegli occhi erano piccoli e lucenti, maligni come quelli di un serpente, immobili, pieni di una crudeltà e di una cattiveria che atterrivano”. S. Klein, Cit., p.213.
 
In una serie di editti iniziali proibisce battesimi, comunioni, matrimoni con rito cristiano e funzioni religiose. Ma è con l’annuncio ai sudditi raccolti nella capitale Antananarivo, luglio 1836, che la persecuzione diventa sistematica: “Sono venuta a sapere che la Bibbia è malvagia. Essa parla di un nuovo re chiamato Dio e del primo ministro Gesù Cristo suo figlio. I missionari cercano di persuadere il mio popolo ad entrare nel Regno dei Cieli, a pregare il loro re e a chiedergli favori. Ora, voi tutti sapete che qui vi è un unico regno, quello dei nostri antenati Randriamasinavalona, Randrianampoinimerina, Radama e mio! D’ora in poi voglio che esso non sia diviso. Non mi importa di questo Regno dei Cieli, di questo Dio che ci governa, di questo Gesù Cristo! Essi possono regnare sugli uomini bianchi venuti dal mare, ma io non voglio che i miei sudditi siano ingannati. So che alcuni di voi sono stati fuorviati; credo che si siano lasciati abbindolare senza volerlo da questi uomini subdoli. Pertanto, sono disposta a perdonarli se confesseranno la loro debolezza e torneranno a credere nei nostri antichi idoli, magie e montagne sacre. A partire da oggi, pregare, possedere Bibbie o libri di inni, riunirsi per adorare Dio o Gesù Cristo e insegnare ad altri a leggere saranno considerati crimini punibili con la morte”. S. Klein, Cit., pp.214-215.
 
Da qui si arriva all’espulsione dall’isola di tutti gli europei e alla condanna a morte di tutti coloro sorpresi a predicare la dottrina cristiana o trovati in possesso di una Bibbia. Ranavalona si impone come un Diocleziano dell’età moderna (l’imperatore di Roma antica estensore dell’editto generale di persecuzione dei cristiani nel 303 d.C.). Fantasiose o secondo tradizione storica le trovate della regina per “disfarsi” delle sue vittime: gettate giù da alte rupi, bruciate sul rogo, decapitate, costrette a bere pozioni avvelenate, coperte di pelli insanguinate d’animale e date in pasto ai cani, legati in gruppi con pesanti gioghi al collo e lasciati morire di fame nelle foreste. Ma la forma di esecuzione preferita è la morte per bollitura: “Ai piedi di un ripido pendio furono scavate delle fosse, in cui vennero posti i condannati a morte con le mani legate dietro la schiena a lunghi pali di legno. All’estremità di ciascuna fossa furono accesi dei falò, sui quali si trovavano enormi calderoni pieni d’acqua. Quando quest’ultima giunse al punto di ebollizione, le guardie inclinarono lentamente i recipienti, in modo che il liquido scorresse verso le buche lungo appositi canali. Si formarono nuvole di vapore ma, quando esse si diradarono, l’acqua giungeva soltanto alla cintola delle vittime, che quindi venivano bollite vive a poco a poco”. S. Klein, Cit., p.216.
 
UNA SPIETATA MA “IGIENICA” REGINA
Nonostante il suo intenso odio, Ranavalona trova brevi lampi di tolleranza verso i missionari per via di alcuni oggetti che possiedono, in particolare il sapone. Si tramanda di una sua ossessione per la pulizia, infatti, che pare derivare da abitudini acquisite dopo essere salita al trono: “Ella soleva fare il bagno sotto gli occhi di tutti su un balcone che si affacciava sulla città. Completamente nuda, a parte il cappello, nulla le piaceva di più che sedere in una vasca ed essere lavata dalle sue schiave di fronte a numerosi spettatori che si assiepavano sulla piazza, applaudendo e facendo apprezzamenti”. S. Klein, Cit., pp.213-214.
 
La regina non disdegna nemmeno, dagli odiati francesi, i dipinti di epoca napoleonica con cui adornare le pareti del suo palazzo, così come le stoffe preziose e i ricevimenti. Uno stile piuttosto europeo per chi cerca di estirparlo dalla sua terra.
Il suo regno avrà una durata di quasi trentacinque anni, ma la storiografia non ha sciolto il nodo di un’eventuale pazzia o amore della tortura di per sé. Potrebbe trattarsi di un mix tra sete di potere assoluto e istinto primordiale di conservazione delle proprie tradizioni, istigato da una politica coloniale europea non meno spietata nel corso della storia. È sicuro che la persecuzione avviata da Ranavalona morirà con lei nel 1863.
 
IL CRISTIANESIMO VINCE SIN NEL SANGUE DELLA SOVRANA
“Per ogni convertito giustiziato o espulso dall’isola, altri due prendevano il suo posto. Le poche Bibbie in circolazione venivano clandestinamente passate da una famiglia all’altra, ogni sabato si tenevano incontri di preghiera in luoghi segreti e i bambini erano battezzati dietro le porte sbarrate… Per quanto Ranavalona facesse, niente poteva impedire alla comunità cristiana di crescere e radicarsi sempre di più”. S. Klein, Cit., p.219.
 
Lo stesso successore della regina, Radama II, concepito qui o là, nel complesso si dimostrerà un governante progressista, arrivando ad abolire la schiavitù ed emanando una legge sulla libertà religiosa. Ironia della sorte finirà assassinato dopo tre anni di regno. Al suo posto la moglie Rasoherina, anch’essa per breve tempo ma sufficiente a convertirsi al cristianesimo e incoraggiare nuovamente le attività missionarie sull’isola. Ormai Ranavalona non c’è più!!!